C’era una volta a… Hollywood – La recensione del nono film di Tarantino

Ormai nelle sale statunitensi da fine luglio, è giunta in Italia da poche settimane la nona fatica di Quentin Tarantino. Ecco finalmente la recensione del film da parte dello staff di NoFuture, a cura di Emidio Sciamanna con la collaborazione di One Gian Man.

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C’era una volta un film, nel quale “realtà” e “finzione” si fondevano l’una con l’altra.

 

L’inutilità del ballo di Mia e Vincent o di Sharon Tate che guarda il suo stesso film è causa di ammirazione prima e di assopimento in seguito. Un film che di certo non sceglie la velocità come standard di narrazione si permette il lusso di avere parecchie scene che a qualsiasi altro regista avrebbero negato già alla prima stesura.

Ovviamente, non a Tarantino. A Tarantino proprio no. Questo perché, come detto nella live Twitch dedicata al regista, è uno dei pochi registi viventi in grado di smuovere le masse di “telefono-zombie” e trascinarle al cinema che neanche un film di Zalone. Ok, forse non proprio così tanto, ma fatemi credere a questa favola.

 

 

 

 

 

 

 

Questo è un riferimento al “C’era una volta” presente nel titolo, omaggio alla quasi omonima opera di Leone, che ben spiega l’atteggiamento che lo spettatore deve assumere. Aspetta, voglio che tu, caro lettore, non fraintenda il “deve” usato prima. Non è un amorevole consiglio, più un ordine. Decisamente un ordine.

La maggior parte delle scene è fine a se stessa, come la descrizione di un bel bosco incantato in una favola Disney (di cui è stato probabilmente fatto un remake in real life) di cui l’adulto se ne farebbe volentieri a meno mentre il bambino se ne ciba a pieni bocconi. Il bambino sei tu, che devi (d-e-v-i) farti assorbire in quel mondo, divenire parte di un’ambiente che non potrai mai vivere in prima persona perché, facendo riferimento a Baudrillard, non è mai realmente esistito se non come simulacro.

I personaggi sono contorno, le strade la portata principale. Il dessert? Tutto il resto.

Gli omaggi, le prove attoriali, le risate, le tensioni: il cinema, in una parola. Cinema, inteso come qualcosa di migliore della realtà, più tangibile della realtà stessa, nonostante le distanze siano irriducibili.

Inutile è ciò che non ha un fine pragmatico, arte è ciò che ti fa provare emozioni al solo sguardo, ascolto, tocco. Questo film, questa opera (così da dare giustizia all’artista) è arte, in quanto punto di riferimento per tutti coloro che vogliono essere parte dell’industria, vogliono fingere di far parte dell’industria, vogliono essere l’industria. E farla fallire.

 

-One Gian Man

ATTENZIONE, SEGUIRANNO SPOILER SUL FILM

 

 

 

 

 

 

 

La Hollywood degli anni 60, rievocata in una fiaba.

 

C’era una volta a… Hollywood, per l’appunto. Il titolo è tutt’altro che fine a sé stesso, perché Tarantino dà vita ad una vera e propria favola. Un’epoca splendente, radiosa, anche se non priva di contraddizioni: era la Hollywood degli anni 60, raccontata con gli occhi di chi quegli anni li ha vissuti, ammirati. Tarantino mette in scena una sua personale visione di quel periodo, nella quale ogni cosa sembra vista attraverso lo sguardo innocente di un bambino. Risulta evidente sin dai primi minuti che le vicende rappresentate sono cinema allo stato puro, nella quale la realtà si fonde con la finzione: le atmosfere, i personaggi, i luoghi. Tutto è rievocato e caratterizzato con amore, tenerezza e, probabilmente, un pizzico di malinconia.

Malinconia per un mondo che non esiste più. Un mondo al quale chi è appassionato di cinema rimane indissolubilmente legato, in particolare chi, come Tarantino, con quel cinema ci è cresciuto e che, purtroppo, ha visto tragicamente morire nella notte dell’8 agosto del 1969.

Un banale episodio di cronaca nera, ma solo in apparenza. Quella notte, nella tragedia nota come “l’eccidio di Cielo Drive”, non ha soltanto perso la vita Sharon Tate (una delle attrici più promettenti di Hollywood nonché moglie di Roman Polanski), ma è anche iniziato il lento declino che ha inesorabilmente portato alla fine di un’epoca storica, per il cinema e per la stessa Hollywood. 

La trama del film è, di fatto, un semplice pretesto per mettere in scena le atmosfere e le sensazioni di quel glorioso periodo.

Le vicende ruotano attorno a Rick Dalton (splendidamente interpretato da Leonardo Di Caprio), attore dal celebre passato che osserva inesorabile il lento declino della sua carriera, ed al suo stuntman di fiducia/tuttofare Cliff Booth (un Brad Pitt in forma smagliante). Rick abita in una lussuosa villa ad Hollywood, più precisamente a Cielo Drive, ed è il vicino di casa di una giovane coppia trasferitasi lì da poco tempo, ovviamente Roman Polanski e Sharon Tate (una Margot Robbie magnifica e perfettamente nel personaggio)

Proprio in quel periodo vi fu l’ascesa nel mondo criminale del famigerato Charles Manson, il quale si circondò di un gruppo di giovani, attratti dal suo carisma. Quest’ultimi presero il nome di “The Manson Family” e alcuni di loro, mandati da Manson stesso, furono gli autori del massacro di Cielo Drive. 

Ma a Tarantino, si sa, piace riscrivere la storia. Pertanto, esattamente come in “Bastardi senza gloria” Adolf Hitler trova la sua morte in un teatro, ecco che qui, come in tutte le fiabe che si rispettino, è presente il lieto fine. Il destino, infatti, vuole che a salvare la giovane Sharon Tate (incinta di 8 mesi) dagli assassini della famiglia Manson siano proprio Rick Dalton e Cliff Booth, eroi involontari di un mondo immaginario. 

L’intera pellicola è un omaggio, un’ode, che il regista ha deciso di dedicare ad un periodo storico al quale è profondamente legato.

Tarantino mette tutto sé stesso in questo film. È vero, le scene “pulp” che l’hanno da sempre contraddistinto sono in netta minoranza rispetto alle sue opere precedenti. Tuttavia, in questo “C’era una volta a… Hollywood”, è presente molto di più: il suo amore per il cinema. Un amore che traspare da ogni più piccolo dettaglio e Easter egg presente nella pellicola. Il tutto condito da una regia perfetta, da una colonna sonora maestosa e da una meravigliosa fotografia ad effetto pastello che rievoca splendidamente gli anni 60. Un piacere per gli occhi.

È proprio il suo amore per il cinema che lo ha spinto a dare vita ad una sorta di fiaba. Una storia fittizia, sicuramente scandita da luoghi e personaggi realmente esistiti, ma caratterizzati secondo la sua personale visione. Quasi a rendere il tutto un racconto fantastico, nel quale ogni cosa appare magica e, a tratti, irreale. 

Ne è un esempio la caratterizzazione macchiettistica di Bruce Lee (impersonato da Mike Moh) oppure, in modo particolare, l’interpretazione di Sharon Tate, amorevolmente rappresentata come una figura pura, innocente, quasi angelica.

Ecco quindi che il commovente finale del film, con Rick che viene invitato a casa Polanski da Sharon Tate in persona e, in un certo senso, accettato e rispettato dalle nuove generazioni, assume un senso ancor più particolare non appena realizziamo che la storia è stata modificata: la giovane donna è sopravvissuta e, con lei, l’intera epoca d’oro di una Hollywood anni 60, che Tarantino immagina non finire mai.

 

-Emidio Sciamanna

 

 

 

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